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Le angherie di colleghi e capi fanno ammalare

http://www.repubblica.it/online/sessi_stili/mobbing/mobbi/mobbi.html




Ecco il Mobbing
veleni in ufficio


ROMA - "Quando lavoravo negli Stati Uniti notai che le grandi company, quando volevano sbarazzarsi dei dipendenti troppo in là con gli anni, gli organizzavano un giro per il mondo, una visita alle sedi in Europa, Australia, Asia. Il programma di viaggio era così stretto e massacrante che al ritorno i manager, stremati, si convincevano che era arrivata l'ora di andare in pensione". Per Giancarlo Tapparo, senatore dei ds, il mobbing non è per niente una novità. Ma avergli dato un nome, pur se preso in prestito alla lingua inglese, è già un passo in avanti. Per anni l'Italia ha ignorato il mobbing, letteralmente quel "comportamento aggressivo messo in atto da alcune specie di uccelli nei confronti dei propri simili". Ora invece medici del lavoro, sindacalisti e anche il Parlamento, scoprono che dietro alle depressioni, agli attachi di panico, ai sudori, alla perdita di capelli o di identità di cui soffre almeno il quattro per cento dei lavoratori italiani, ci sono le angherie di colleghi e capi, consumate nel chiuso degli uffici. Un terrore psicologico, una guerra dei nervi capace di trasformare un semplice lavoratore in una vittima.

Così la Uil del Piemonte ha deciso di avviare un'indagine tra i suoi iscritti. E in Lombardia, la sezione salute e sicurezza della Cgil, si prepara a inviare un questionario ai lavoratori della regione. Mentre Giancarlo Tapparo chiederàalla commissione Lavoro del Senato l'istituzione di un comitato che indaghi su un fenomeno che rischia di dilagare negli uffici italiani. "Vogliamo ascoltare i medici delle cliniche del lavoro", spiega Tapparo, "ma anche i magistrati, perché alla fine spesso è in tribunale che finiscono i mobizzati". L'obiettivo è studiare il fenomeno, comprenderlo, sensibilizzare i medici e quindi presentare una proposta di legge.

Ma perché questa attenzione proprio ora? Semplice distrazione sugli studi dei colleghi del Nord Europa che da anni vanno raccontando che il mobbing è in agguato nei posti di lavoro, oppure qualcosa è cambiato? "Il mobbing c'è sempre stato", conferma Domenico Marcucci della Cgil lombarda, "ma oggi è forse più frequente. E soprattutto si consuma là dove sono in atto fusioni di società, o ristrutturazioni aziendali con cambi di management ai vertici delle aziende. Sembra che gli uffici italiani siano in realtà malati di un tipo di mobbing che potremmo chiamare di tipo "verticale", messo in atto cioè dai datori di lavoro". Per capire: se due società si fondono, spesso, per una stessa poltrona o per una stessa scrivania ci sono due persone, ma il posto è uno solo. Una deviazione, anche se non meno grave del mobbing "orizzontale", quello cioé messo in atto dai colleghi di lavoro a danno del vicino di scrivania con tecniche sottili e invisibili come le battute e l'isolamento, comportamenti che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, sono condannati.

Ma i due tipi di mobbing alle volte finiscono per intrecciarsi, per confondersi. Come possa accadere lo spiaga bene un caso curato da Renato Gilioli, direttore del Centro disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro di Milano. Ogni giorno nel suo studio, che è un osservatorio privilegiato, si presentano in media cinque persone. Questa è la storia di uno dei suoi pazienti. "Francesco lavorava da anni per una società finanziaria di Torino, era un funzionario-quadro, stimato e apprezzato. Negli anni gli furono affidati compiti delicati tanto che lui si guadagnò la stima dei vertici aziendali. Ma poi arrivò un cambio di management: a Francesco venne chiesto di aprire e dirigere una filiale nella provincia, dove vennero inviati tutti quei dipendenti che il nuovo management considerava di basso profilo. E a Francesco fu fatto capire, anche se mai in modo esplicito, che avrebbe dovuto "farli fuori". Non gli fu detto però che nella lista c'era anche lui".

Duilio Gandolfi della Uil di Torino, che invierà agli psicologi i risultati dei tremila questionari dei lavoratori del settore, è proprio su questo aspetto che vuole indagare: "Le fusioni di aizende, i cambi di management, le ristrutturazioni, spesso finiscono per creare tensione sul posto di lavoro. Poi c'è da indagare su quei casi di riqualificazione professionale che appaiono un po' troppo forzati e che alla fine che finiscono per diventare casi di mobbing".

Ma pensare che sia il solo settore privato a essere "ammalato" è un errore. "Il mobbing è un fenomeno che non risparmia nessun ambito lavorativo - spiega Domenico Marcucci - anche se colpisce soprattutto il terziario, i quadri e gli impiegati con un'età media intorno ai quarant'anni e un buon livello di istruzione, senza distinzione di sesso. Ma c'è, o c'è stato, anche negli uffici pubblici. All'epoca di Tangentopoli è accaduto che chi non condivideva la politica delle mazzette veniva emarginato, isolato dai colleghi".

Giancarlo Tapparo, che ha contribuito alla stesura della legge sulle molestie sessuali sui luoghi di lavoro, si è convinto che è arrivato il momento di prepararne una anche per le "molestie morali". Ma stendere una legge che regolamenti i comportamenti, che definisca cos'è il mobbing e che, nel caso, sanzioni compagni o datori di lavoro, è tutt'altro che semplice. "Ci troviamo di fronte allo stesso rischio che abbiamo dovuto affrontare quando è stato scritto il disegno di legge sulle molestie sessuali - spiega Tapparo - e la via che sceglieremo sarà la stessa, quella di allargare quanto più possibile gli ambiti di informazione e prevenzione. E il modo migliore per farlo è coinvolgere i sindacati, dandogli un ruolo di ascolto e, nel caso, di intervento". Un po' come hanno fatto i sindacati tedeschi alla Volkswagen, dove un capitolo sul mobbing è già stato inserito nel contratto.

Cauti anche i sindcati. "Ciò che dobbiamo evitare è di ingabbiare troppo la materia, con il risultato di fare una legge che non si riesce ad applicare - dice Domenico Marcucci - semmai il primo passo è riuscire a inserire il mobbing in accordi aziendali o nazionali che facciano storia. Ma soprattutto sobbiamo avvicinarci ai lavoratori, dobbiamo imparare ad ascoltarli, cosa che oggi spesso non accade".

E i datori di lavoro come affrontano un fenomeno, che oltre ad avere costi sociali finisce per diventare un boomerang, perché i lavoratori scontenti finiscono per diventare un costo? "Per ora lo affrontano come si affronta un tabù", dice Domenico Marcucci. E Gilioli lo conferma. "Io curo le depressioni e tutte quelle patologie scatenate dal mobbing - dice Gilioli - che però, bisogna dirlo e ripeterlo, non è una malattia, semmai è la causa scatenante. Quando ricevo i pazienti li lascio raccontare e poi chiamo direttamente i loro datori di lavoro. Il risultato? Mi trovo davanti a porte chiuse".

(24 luglio 1999)

BARBARA ARDU'

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