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venerdì 23 novembre 2001









La Repubblica:


Lavoro, verso lo scontro tra governo e sindacati; Cofferati: "Proporremo lo sciopero generale", ma Berlusconi prende tempo: "Vedremo lunedì"




ROMA - "Ma come? Ma non eravate d'accordo?": il confronto tra governo e sindacati è in corso. Silvio Berlusconi si gira verso il ministro del Welfare, Roberto Maroni, che gli sta a fianco, e lo guarda stupito. Stupito perché il presidente del Consiglio non si aspettava un'opposizione così netta, così dura, soprattutto così unitaria. Al no della Cgil verso le riforme c'è abituato, quello che lo colpisce è il no urlato anche da Cisl e Uil. Ad accendere la discordia le novità sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, che l'esecutivo pensa di ritoccare. In maniera liberista, s'intende, rendendo cioè più facili i licenziamenti.

La richiesta di Cgil, Cisl e Uil è netta: il governo deve ritirare la parte della delega sul mercato del lavoro che modifica la norma. Ma il governo - secondo quanto riferito da alcuni partecipanti alla riunione - avrebbe ribadito l'importanza delle misure urgenti, e l'utilità dello strumento della delega su materie come il mercato del lavoro, il fisco e le pensioni sarebbe stata ribadita dallo stesso premier.

Lo scontro per ora slitta a lunedì prossimo: "Vedremo, vedremo", borbotta Berlusconi. Il 26 novembre infatti l'esecutivo si è impegnato a dare una risposta al sindacato, ma i leader di Cgil, Cisl e Uil avvertono: se la modifica dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori non sarà eliminata dalla delega c'è "un rischio di rottura grave al quale i lavoratori faranno seguire risposte coerenti".

Mentre sul no alla modifica dell'articolo 18 Cgil, Cisl e Uil sono assolutamente compatte, restano divisioni tra le tre organizzazioni sia sullo strumento della delega per affrontare la riforma del mercato del lavoro (la Cgil chiede di ritirarla, mentre Cisl e Uil chiedono solo di stralciare la parte sull'articolo 18) sia sulle iniziative da prendere in caso il governo decida di non fare passi indietro sui licenziamenti.

La Cgil con Cofferati annuncia che, se la risposta del Governo sarà "negativa" e le norme nella delega sull'articolo 18 non saranno "cassate", "proporrà alle altre organizzazioni lo sciopero generale". Convinta della necessità di iniziative così forti sembra anche la Uil, la Cisl invece ribadisce la necessità di aspettare una risposta prima di annunciare iniziative.

Le risposte del governo dovranno arrivare anche sul fronte del rinnovo dei contratti del pubblico impiego, la cui copertura è prevista nella Finanziaria. "Ancora una volta - spiega Cofferati - non sono stati in grado di dirci se sono disponibili le risorse che mancano. Abbiamo riconfermato la nostra richiesta di recuperare la differenza tra inflazione programmata e inflazione reale e abbiamo detto che lunedì vogliamo anche su questo una risposta definitiva".






Il sole24Ore:

I DOCUMENTI DELL'ECONOMIADpef 2002-2006: azioni per lo sviluppoI numeri e il programma di grandi riforme della XIV legislatura.
Guida al documentodi Michele De Gaspari

Il Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) per il quinquennio 2002-2006, varato a un mese dall'insediamento del nuovo Governo, ne rappresenta anche il primo (e più qualificante) atto ufficiale di politica economica e viene, in particolare, a coincidere con il periodo di durata prevista per la XIV legislatura, arrivando a produrre i suoi effetti sino all'esercizio di bilancio del 2006. L'arco di tempo di quattro anni di competenza del Dpef, prescritto per legge, è infatti allungato al fine di coprire l'intera legislatura.
A metà del 2001 il quadro congiunturale, internazionale e italiano, è molto cambiato rispetto allo scenario macroeconomico tracciato nel Dpef di un anno fa: il profilo della crescita è oggi nel segno di un sensibile rallentamento e la situazione dei conti pubblici si presenta ben più critica, scontando nello stesso tempo il deterioramento della congiuntura (minori entrate fiscali) e l'inevitabile ciclo elettorale della spesa corrente. Lo scorso Dpef (2001-2004) prevedeva un aumento del Pil nel 2001 di quasi il 3% e un tasso d'inflazione di appena l'1,7%; le ultime stime di crescita del Pil si collocano, invece, poco sopra il 2%, mentre i prezzi al consumo stanno ancora viaggiando a un ritmo annuo intorno al 3% (la soglia del 2% potrà essere raggiunta solo nel corso del 2002).
Il nuovo scenario macroeconomico e di finanza pubblica, messo a punto nel Dpef 2002-2006, prevede dunque una crescita del Pil nel 2001 in ulteriore rallentamento (2,2-2,4%) rispetto al 2,5%, già corretto al ribasso, indicato nell'aggiornamento di fine marzo della Relazione previsionale e programmatica. Si tratta, in ogni caso, di scenari di grande incertezza - delineati in tre varianti: neutrale, programmatico e di rischio - in relazione al ciclo congiunturale internazionale e all'effettiva capacità di reazione dell'economia italiana.
L'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche (il deficit cosiddetto di competenza nella definizione dell'Unione europea) per l'anno in corso è ritoccato in rialzo all'1,9% tendenziale rispetto all'1% stimato nella Relazione trimestrale di cassa, presentata all'inizio di aprile, e allo 0,8% del Programma di stabilità, aggiornato a fine dicembre 2000 e approvato in febbraio dalla Commissione di Bruxelles.
Lo scostamento del deficit pubblico 2001 nella tendenza di metà anno a confronto con l'obiettivo originario è pari a circa un punto percentuale (oltre 20mila miliardi di lire nei valori assoluti) ed è solo in parte spiegabile con la minore crescita economica realizzata. Un certo contenimento del disavanzo rispetto al nuovo valore stimato (della proiezione tendenziale) dovrà, pertanto, essere attuato nell'ultimo quadrimestre dell'anno attraverso aggiustamenti e operazioni contabili sulle uscite di cassa, in modo da riequilibrare le tendenze del saldo di competenza, riconducendolo almeno entro l'1,5% del Pil ottenuto un anno prima. Per il 2002 occorrono, poi, altre correzioni di rotta al fine di avvicinare la tabella di marcia, che prevede un rapporto tra indebitamento e Pil dello 0,5%, premessa indispensabile per conseguire il pareggio di bilancio nel 2003.
Il prossimo anno si renderà così necessario potenziare la manovra correttiva per almeno uno 0,7-0,8% del Pil, che corrisponde a 15-20mila miliardi a valori correnti. Il traguardo del pareggio di bilancio previsto per il 2003 non dovrebbe, di conseguenza, subire variazioni e sarebbe contestualmente confermato. Quest'ultimo impegno, assunto nell'ambito del Patto di stabilità e di crescita, è particolarmente rilevante per il nostro paese nei confronti dell'Unione europea, poco disponibile a interpretazioni flessibili dei parametri finanziari dell'Italia, a causa dei vincoli dell'alto debito pubblico. Ma l'obiettivo dei conti pubblici in pareggio tra soli due anni, data l'attuale situazione di partenza, non ha certo elevate probabilità di realizzarsi.
Il debito pubblico dovrebbe proseguire nella sua lenta discesa in rapporto al Pil, dal 110,5% di fine 2000 al 106% circa quest'anno e al 103% del 2002, fino a scendere leggermente sotto la quota del 100% nel 2003. La fatidica soglia del 60%, fissata dai parametri di Maastricht, appare ancora lontana e potrebbe essere avvicinata, accelerando il percorso di graduale abbattimento del debito, solo intorno al 2010. Ma a condizione di procedere ben più speditamente nei programmi di privatizzazioni e dismissioni, dalle grandi aziende partecipate (a cominciare da Eni ed Enel) all'ingente patrimonio immobiliare degli enti pubblici. L'impegno del Dpef, per le sole privatizzazioni, è di circa 120mila miliardi nel quinquennio.
Per il 2002 la crescita del Pil è indicata intorno al 3%, con la previsione di stabilizzarla negli anni successivi; all'1,7% è fissata, invece, l'inflazione programmata, che dovrebbe in prospettiva calare ulteriormente. I grandi obiettivi del Dpef per il prossimo quinquennio sono, infatti, lo sviluppo e l'occupazione, da conseguirsi con una politica economica centrata su misure espansive. Di qui il rinnovo della legge Tremonti, che premia fiscalmente gli utili reinvestiti nelle aziende; le misure contro l'economia sommersa, con sgravi fiscali e contributivi per chi si mette in regola; gli incentivi a favore delle piccole imprese, per consentire a esse di crescere; i programmi di nuove opere pubbliche; gli strumenti per aumentare la flessibilità del mercato del lavoro; la liberalizzazione dei settori dell'energia e dei servizi pubblici locali.
Tutti questi provvedimenti, una volta varati, sono in grado di generare effetti espansivi sulla crescita del Pil e dell'occupazione, tali da innescare un circolo virtuoso, anche attraverso il miglioramento delle aspettative di imprese e famiglie: più reddito prodotto e nuovi posti di lavoro significano la garanzia di maggiori entrate fiscali e meno problemi nella gestione dei conti pubblici. Il risanamento finanziario, che comporta anche interventi di riforma su previdenza e sanità, potrebbe così essere portato a termine e attuata, nello stesso tempo, una graduale riduzione della pressione fiscale (un punto percentuale all'anno, dal 42% al 37%), come suggerito dal governatore della Banca d'Italia.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef) per gli anni 2002-2006, varato dal Governo il 16 luglio, contiene le linee guida (programmatiche) della politica economica a medio termine, affiancandosi agli altri documenti ufficiali governativi, a cura del ministero dell'Economia e delle Finanze, dell'Istat e dell'Isae, che illustrano invece, attraverso statistiche analisi, la situazione del Paese. Dopo le descrizioni, il Governo indica, dunque, anche gli impegni politici da tradurre in atti concreti nella Legge finanziaria per l'anno successivo (il 2002), essendo quest'ultima la parte del Dpef formalmente vincolante per l'azione futura.
La legge istitutiva del Dpef (la 362) risale al 1988 e ne prevedeva la scadenza di presentazione il 15 maggio di ogni anno, insieme all'orizzonte triennale di competenza. Nel 1999 una successiva legge (la 208) ne ha spostato il termine al 30 giugno, allungandone la durata a quattro anni. La scadenza di legge fissata non è stata, peraltro, quasi mai rispettata, anche a causa delle coincidenze elettorali o delle crisi di Governo, con il relativo cambio di guida nella politica economica. Unica rilevante eccezione il 1998, quando il Dpef vede la luce a metà aprile; ma era in gioco, allora, l'ingresso nell'euro, con la decisione di ammissione alla moneta unica prevista all'inizio di maggio.
Il Documento di programmazione è, insomma, un'anteprima della Finanziaria, che illustra l'evoluzione dei conti pubblici per il prossimo quinquennio, delinea gli interventi correttivi sui principali aggregati di entrata e di spesa nel periodo, individua le grandi riforme da attuare nel corso della legislatura. I temi di breve periodo in altre parole, come gli andamenti della congiuntura e il disavanzo della finanza pubblica, sono inseriti in una prospettiva di medio e lungo termine.






IL Messaggero:

Maroni: mai parlato delle liquidazioni come ammortizzatori sociali. La Cisl: se davvero è così allora l’accordo è possibile Tfr, altolà di Confindustria e sindacati
Parisi: se il governo rinuncia alla riforma delle pensioni, noi non siamo disponibili
di LUCA CIFONI

ROMA — Ci sono ancora una ventina di giorni per mettere nero su bianco la riforma della previdenza, o almeno la sua prima tranche, destinata alla corsia preferenziale del collegato alla Finanziaria. Il testo, secondo il ministro del Welfare Maroni, è praticamente pronto: da aggiustare non ci sarebbero che le virgole. Ma questo ottimismo sembra non essere condiviso dalle parti sociali, con l’eccezione della Cisl; e forse all’interno dello stesso esecutivo c’è ancora qualche messa a punto da fare. Ieri, causa assenza da Roma del ministro dell’Economia, non c’è stato l’annunciato incontro Maroni-Tremonti, che potrebbe avere luogo forse all’inizio della prossima settimana.
Intanto però il ministro del Welfare ha disconosciuto alcune parti del progetto, e in particolare quella relativa all’utilizzo del Tfr. L’ipotesi, appena abbozzata, è di lasciare una quota dei versamenti Tfr in azienda, per destinarli a forme assicurative contro le crisi aziendali. Un’idea che però non è piaciuta né ai sindacati né alla Confindustria. Da Viale dell’Astronomia, e precisamente dal direttore generale Parisi, sono arrivate parole abbastanza dure: "Se il governo - ha detto Parisi - vuole rinunciare a fare una riforma delle pensioni vera, strutturale, rinunci pure: è un problema del rapporto del governo con le istituzioni internazionali che chiedono a gran voce la riforma". A queste condizioni gli imprenditori non sono disposti a mettere in gioco le liquidazioni: diverso sarebbe se la rinuncia al Tfr o ad una parte di esso corrispondesse una riduzione della previdenza obbligatoria, in termini di aliquote contributive.
In ogni caso è stato lo stesso Maroni a smentire che ci sia in progetto di impiegare il Tfr come ammortizzatore sociale. "Non l’abbiamo mai immaginato - ha detto - la parte maggioritaria del Tfr andrà utilizzata per il decollo della previdenza integrativa". Non è un mistero però che la proposta provenga dallo stesso dicastero del Welfare, e precisamente dal sottosegretario Brambilla.
Maroni ha anche precisato che non si pensa a uno spostamento in avanti dell’età ensionabile, attualmente a 65 anni, fino ai 70 o ai 72, ma di una completa cancellazione di questa soglia. Purché il lavoratore che intende restare in attività abbia il consenso dell’azienda.
In ogni caso sul Tfr è venuto dai sindacati un deciso altolà. Bocciatura senza mezzi termini da parte della Cgil. "Si tratta di una proposta irricevibile", ha detto il responsabile per la previdenza Beniamino Lapadula, secondo il quale di fatto "si propone di tagliare i salari, considerando che il trattamento di fine rapporto è salario differito".
Abbastanza simile la posizione della Uil che parla di proposta "inaccettabile". "È un'ipotesi che non esiste - ha detto il numero due della confederazione, Adriano Musi - il trattamento di fine rapporto è salario differito di proprietà del lavoratore che non può servire a pagare le eventuali difficoltà di un'azienda". Secondo Musi, "si continua a fare solidarietà nel Paese solo a carico del lavoratore".
Anche la Cisl non vuole sentir parlare di questo uso del Tfr: "Il Tfr va utilizzato in gran parte per per il decollo della previdenza integrativa - è la posizione di Pierpaolo Baretta - gli ammortizzatori sociali hanno un altro regime ed altre necessità". Baretta tuttavia prende atto con favore della precisazione di Maroni, e ritiene si possa arrivare presto ad un accordo sulla base dei "cinque punti".
Intanto in campo previdenziale il governo sarebbe intenzionato anche a potenziare il meccanismo di totalizzazione, che permette di ricongiungere gratis i contributi versati a diversi enti previdenziali. Ma l’ipotesi ha già scatenato una dura protesta da parte delle casse private.






La Stampa:
(Del 24/11/2001 Sezione: Economia Pag. 17)

LUNEDI´ LE RISPOSTE DEFINITIVE DEL GOVERNO ALLE RICHIESTE DI CGIL, CISL E UIL. COFFERATI: PRONTI ALLO SCIOPERO GENERALE

Pensioni, la riforma si farà a tappe Nuovo scontro sul Tfr. Maroni: non servirà per la cassa integrazione

ROMA Prende corpo l´ipotesi di una riforma delle pensioni a tappe. Il ministero dell´Economia sarebbe infatti favorevole a considerare nella delega per la riforma previdenziale anche una norma paracadute per garantire l´efficacia delle correzioni già concordate con i sindacati. Nel testo della delega, che il ministro del Welfare Roberto Maroni sta verificando con Giulio Tremonti, potrebbe esserci dunque un esplicito richiamo all´esigenza di una nuova verifica, premessa per nuove correzioni nel caso l´obiettivo di innalzamento dell´età pensionabile su base volontaria, grazie agli incentivi previsti, non dovesse essere raggiunto. Sia Maroni che il ministero dell´Economia hanno invece smentito che la parte del Tfr che non sarà destinata ai fondi pensione possa essere utilizzata per il finanziamento degli ammortizzatori sociali. Maroni ha peraltro garantito che i criteri per l´aumento delle pensioni minime ad un milione, da inserire nella Finanziaria con un emendamento, non saranno modificati rispetto a quanto annunciato. In attesa dell´incontro di lunedì prossimo a Palazzo Chigi, dal quale i sindacati aspettano risposte definitive dal governo sia sull´articolo 18, che su pensioni e fisco, l´ipotesi della riforma previdenziale in due tempi ha contribuito a surriscaldare il fronte sindacale già agitato. Al ministro Antonio Marzano, deciso ad andare avanti sull´articolo 18 se dall´incontro di lunedì fossero emersi solo "veti" sindacali, e allo stesso Maroni, indisponibile al ritiro della delega senza proposte alternative, aveva risposto poco dopo il segretario della Cgil, Sergio Cofferati, prefigurando uno sciopero generale. "La fase due è un´incognita troppo pesante. Proprio per evitare questo pericolo restiamo contrari alla delega e favorevoli ad un maxi-emendamento sui cinque punti concordati della riforma", ha detto il responsabile per le politiche sociali della Cgil, Beniamino Lapadula. "Non vedo la necessità di un secondo tempo, né di riagitare il fantasma di altri interventi", ha detto il segretario confederale della Cisl, Pierpaolo Baretta, mentre il numero due della Uil, Adriano Musi, ha sottolineato che "una nuova verifica a stretto giro di posta non avrebbe alcun senso. Noi comunque siamo contrari". I sindacati, peraltro, avevano reagito malissimo alle indiscrezioni sulla possibilità di utilizzare parte del Tfr per finanziare gli ammortizzatori sociali, ipotesi smentita seccamente dal ministro Maroni. "Non è scritto in nessun documento del ministero di utilizzare il Tfr a questo scopo. la delega prevede di destinare una quota maggioritaria del Tfr per i fondi pensione, mentre sulla parte restante decideranno le parti sociali" ha detto ieri Maroni. Il Tfr non sarà dunque una ciambella di salvataggio per chi perde il posto di lavoro, ma resta l´ipotesi, caldeggiata da Tremonti, di farne confluire una parte in busta paga per alimentare i consumi. Resta il forte dissenso della Confindustria: "senza una vera riforma delle pensioni - ha detto il direttore generale, Stefano Parisi - siamo contrari all´utilizzo del Tfr". I dettagli della delega dovrebbero essere definiti nel fine settimana da Tremonti e Maroni, che ieri ha spedito al suo collega la bozza della delega: "si tratta - ha detto - di ipotesi già concordate nell´impianto e nei contenuti".
Maroni ha ribadito, per sgombrare il campo dalle indiscrezioni, che nel provvedimento il governo non prevede alcun tetto per l´età pensionabile, perché "si tratterebbe allora solo di spostare il limite da un´età all´altra". "Il sistema delle pensioni di anzianità" ha aggiunto "resta quello della riforma Dini". Maroni ha anche escluso che siano allo studio cambiamenti dei criteri per l´aumento delle pensioni minime a un milione. "I criteri restano quelli annunciati: l´aumento va ai pensionati invalidi totali che abbiano almeno 60 anni e per chi ne ha più di 70, con il bonus pari a un anno per ogni cinque di contributi versati" ha detto Maroni, smentendo anche l´ipotesi di modificare la sanatoria sugli aumenti indebitamente percepiti dall´Inps.

m. sen.






Il Giorno

Pensioni punto e a capo

ROMA — Il sindacato fa muro contro l'ipotesi di utilizzare il Tfr per finanziare gli ammortizzatori sociali. Il ministro Maroni si affretta ad assicurare di non aver "mai preso in considerazione" una ipotesi del genere. E la Confindustria insorge dicendo chiaro e tondo che le imprese non sono disponibili a mollare le liquidazioni senza avere in cambio una riforma vera della previdenza. Insomma, con l'avvicinarsi del nuovo round tra governo e parti sociali, fissato per lunedì, si complica anche il tavolo previdenziale.
Colpa di una serie di indiscrezioni sui contenuti della delega che l'esecutivo presenterà a metà dicembre e soprattutto sui possibili interventi successivi: una sorta di "fase 2" da far scattare il prossimo anno con una nuova verifica con le parti. Si vocifera di disincentivi per le pensioni di anzianità, di sistema di calcolo contributivo pro rata per tutti, di età libera per andare in pensione ma non oltre i 70-72 anni. Ma ieri si è parlato soprattutto dell'ipotesi di destinare metà del trattamento di fine rapporto a un fondo assicurativo in favore di chi perde il posto di lavoro.
Ipotesi inaccettabili per il sindacato, secondo cui il Tfr è salario differito dunque di proprietà del lavoratore. Non può servire a pagare le difficoltà di una azienda.
Il ministro del Welfare corre ai ripari. "Sono voci — dice — che stanno sui giornali non nel documento del ministero. Utilizzare in questo modo il Tfr sarebbe un prelievo fiscale o contributivo".
Maroni smentisce anche interventi sulle pensioni di anzianità, se non quelli per incentivare chi vuole lasciare il lavoro dopo i 65 anni, ma senza introdurre nuovi tetti, semplicemente "liberalizzando". Insomma, conclude, non ci sono novità di sorta. E a questo punto il sindacato si placa e ipotizza un rapido accordo.
Quanto all'annunciato faccia a faccia Maroni-Tremonti sulla delega, in serata circola la voce di un duro braccio di ferro: il super ministro dell'Economia insisterebbe per inserire parte del Tfr in busta paga.
Ad inviperirsi è invece la Confindustria che voleva interventi certi sulle pensioni di anzianità e una riduzione drastica dei contributi. In sostanza misure che aumentassero la competitività. Dice Stefano Parisi, direttore generale: "Se il governo vuole rinunciare a una riforma vera, strutturale, rinunci pure. Certo le imprese dicono che il Tfr non si tocca. Può essere messo in gioco solo in una logica in cui si riduce il peso della previdenza pubblica a favore di quella privata. Lasciare una costosissima previdenza pubblica e prevedere un impiego obbligatorio del Tfr privando le imprese dell'autonomia di poterlo utilizzare, sarebbe un errore al quale non siamo disposti".
Olivia Posani





Il Corriere della sera

La trasformazione avrà importanti conseguenze sociali e psicologiche. Timori sulla nuova occupazione

Nasce la categoria degli impiegati "a oltranza"

Gli imprenditori: nelle aziende è grande la voglia di essere ancora utili, la vecchiaia è un fattore mentale

ROMA - E’ una categoria sociale che nasce "un po’ per caso", come dice il sociologo Aris Accornero, dalla politica economica del governo. Chi saranno, quanti saranno, "come" saranno i "lavoratori a oltranza", cioè gli anziani che, pur avendone i requisiti, rifiuteranno di andare in pensione? L’Inps stima che, alla fine del 2001, solo i "baby pensionati" (rendite di anzianità) saranno 199.000, il 14% in più rispetto all’anno scorso. Ora il governo tenta di invertire la tendenza, premiando chi decide di restare. Obiettivo del provvedimento è tamponare la spesa corrente, "non certo quello di costruire un nuovo modello sociale e tantomeno un nuovo gruppo sociologico", osserva ancora Accornero. Tuttavia è logico attendersi una serie di conseguenze economiche, sociali e anche psicologiche. Qualche settimana fa Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina e senatrice a vita, aveva lanciato la proposta-provocazione: "Aboliamo le pensioni, sono l’anticamera della morte". Una "morte" che può essere anche la scomparsa di un patrimonio di conoscenze collettive, di esperienze produttive maturate negli anni.
Walter Galbusera, segretario della Uil in Lombardia, ricorda ancora i vuoti, le "dispersioni di sapere" causate dai prepensionamenti di massa nelle grandi fabbriche del Nord, siderurgiche e meccaniche. Oggi gli eredi, sia pure più moderni e "tecnologizzati" di quella tradizione, guardano con interesse alla "libertà di pensionamento". Alessandro Riello, imprenditore del Nord-Est, azzarda qualche calcolo: "Nel nostro gruppo, la Riello-condizionatori, lavorano circa 1.200 dipendenti. Bene: un terzo di coloro che vanno in pensione sarebbe interessato a restare al lavoro, specie se, come pensiamo, nel 2002 ci sarà una ripresa". Riello parla di "lavoratori fino a oggi forzati a uscire dall’azienda, nel timore di perdere la pensione", racconta di una "diffusa voglia di restare al proprio posto", "di rendersi ancora utili, perché la vecchiaia non è solo un fatto anagrafico, ma mentale". Eppure la "delega Maroni" può mettere in moto spinte contraddittorie anche nelle grandi aziende. Pochi giorni fa l’amministratore delegato della Fiat, Paolo Cantarella, per esempio, ha sostenuto la necessità di non toccare le pensioni di anzianità. Un po’ per evitare lo scontro frontale con i sindacati, un po’, come osserva Galbusera "per mantenere un canale di alleggerimento degli organici, specie in momenti di bassa marea come questi".
La convenienza degli imprenditori è un tema fondamentale, se non altro perché il lavoratore potrà rimanere in servizio solo con il consenso dell’azienda. Innocenzo Cipolletta, ex direttore generale della Confindustria e oggi presidente del gruppo Marzotto, cerca un doppio punto di equilibrio. Prima economico: "La misura è interessante, ma ci vorrebbe uno scambio più incisivo tra l’allungamento dell’età pensionabile e la diminuzione del carico contributivo per le imprese". Poi sociale: "Se un’azienda copre una punta di produzione con i pensionandi, è chiaro che vengono meno delle occasioni di lavoro. E allora altre fasce di popolazione devono essere più disposte a muoversi".
Anziani "più attivi" solo con giovani "più mobili"? Su questa equazione socio-economica ragiona anche Accornero: "Certo, l’ideale sarebbe che gli anziani lavorassero più a lungo, ma con orari più ridotti". Riello esclude, invece, "l’effetto tappo": "Giovani e anziani rappresentano figure professionali totalmente diverse, se non altro per l’esperienza".








Stefano Ferrari








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